La Gig Economy è un modello economico che viene largamente impiegato negli ultimi anni, prevedendo un lavoro a chiamata occasionale, in affiancamento ai dipendenti già assunti e presenti all’interno dell’azienda.
Proprio per sua definizione viene generalmente adoperato per la realizzazione di progetti e prestazioni che hanno carattere temporaneo; si pensi per esempio ad una campagna di marketing oppure ad un servizio fotografico.
In precedenza abbiamo parlato dell’Insourcing, una strategia aziendale che prevede l’internalizzazione di processi e attività, anche attraverso la formazione dei dipendenti; la Gig Economy, invece, rientra a tutti gli effetti nella pratica opposta, ovvero l’Outsourcing, che affida appalti e lavori a professionisti esterni, non avendo risorse che possano occuparsene internamente.
In questo articolo scopriamo in dettaglio cosa prevede questa strategia e come può risultare vantaggiosa per le aziende.
Il termine Gig Economy deriva dal mondo musicale, dove con la parola “gig” si indicava una serata o un ingaggio occasionale per un artista o una band. Traslato nel contesto lavorativo, il concetto ha mantenuto la stessa essenza: un’attività svolta in maniera temporanea, senza un rapporto di lavoro tradizionale e continuativo. In altre parole, descrive un modello occupazionale in cui aziende e professionisti si incontrano per collaborazioni a progetto, incarichi a breve termine o prestazioni freelance, spesso mediate da piattaforme digitali.
Questo sistema si è diffuso in particolare negli ultimi vent’anni, parallelamente alla crescita del digitale e delle applicazioni che facilitano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, come accade per i rider, i driver delle piattaforme di trasporto o i freelance del settore creativo e tecnologico. A differenza del lavoro dipendente classico, la Gig Economy non si basa su contratti a tempo indeterminato, ma su incarichi flessibili, spesso multipli e paralleli, che permettono al lavoratore di gestire in autonomia tempi e modalità di svolgimento.
Dal punto di vista delle imprese, questo modello rientra tra le strategie di Outsourcing, perché consente di esternalizzare attività specifiche affidandole a professionisti esterni anziché a dipendenti interni. La Gig Economy, infatti, convive accanto ad altre forme di outsourcing come il crowdsourcing, il freelancing e il project-based outsourcing, rappresentando uno degli strumenti più utilizzati dalle aziende che vogliono rimanere agili, ridurre i costi fissi e accedere rapidamente a competenze specializzate.
La Gig Economy si è diffusa così rapidamente proprio perché porta con sé numerosi vantaggi, sia per le aziende che per i lavoratori coinvolti. Secondo le stime del Parlamento Europeo, saranno oltre 43 milioni le persone che lavoreranno sulle piattaforme digitali entro il 2025. Ma cosa comporta questo nuovo sistema lavorativo?
Dal punto di vista delle imprese, il principale beneficio è la flessibilità: poter contare su professionisti esterni consente di adattare la forza lavoro alle esigenze del momento, riducendo i costi fissi legati all’assunzione di personale stabile. Questo approccio permette di accedere a competenze specializzate senza dover investire in formazione interna a lungo termine, sfruttando al massimo le risorse quando servono davvero. Inoltre, affidare attività a collaboratori esterni consente alle aziende di concentrarsi sul proprio core business, lasciando in outsourcing incarichi mirati o di supporto.
Dal lato dei lavoratori, i vantaggi risiedono soprattutto nell’autonomia e nella possibilità di diversificazione. Chi opera nella Gig Economy ha infatti la libertà di scegliere i progetti su cui lavorare, organizzando tempi e modalità in base alle proprie esigenze personali e professionali. Questo modello può favorire un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro, oltre a consentire di maturare esperienze variegate in contesti diversi, arricchendo il proprio profilo professionale. In molti casi, la Gig Economy rappresenta anche un’opportunità di accesso immediato al mercato del lavoro per i giovani o per chi si sta reinventando professionalmente.
In altre parole, la Gig Economy risponde ad una domanda crescente di flessibilità e rapidità, creando un ecosistema dove imprese e lavoratori possono incontrarsi e collaborare in modo dinamico, senza i vincoli tipici dei contratti tradizionali. Eppure, se non ben applicata può celare dei rischi, che vedremo meglio in seguito.
Se da un lato la Gig Economy offre flessibilità e opportunità, dall’altro presenta diverse criticità che non possono essere ignorate. Per i lavoratori, per esempio, il principale svantaggio è la mancanza di tutele tipiche del lavoro dipendente: contratti a tempo indeterminato, ferie pagate, malattia e contributi previdenziali non rientrano quasi mai in questo modello. Ne consegue una maggiore instabilità economica e l’incertezza di non avere entrate costanti. Inoltre, la competizione elevata nelle piattaforme digitali spinge spesso al ribasso i compensi, penalizzando i professionisti che rischiano di svendere le proprie competenze.
Dal punto di vista delle imprese, l’eccessivo ricorso alla Gig Economy può tradursi in una mancanza di continuità e in un minor controllo sulla qualità del lavoro svolto. Affidarsi a collaboratori esterni implica spesso doverli integrare rapidamente nei processi aziendali, con il rischio che non abbiano una piena conoscenza della cultura e delle procedure interne. In questo senso, la Gig Economy si contrappone all’Insourcing, dove invece le risorse vengono sviluppate e consolidate all’interno dell’azienda, garantendo una maggiore coerenza e stabilità sul lungo periodo.
Più nel dettaglio, l’insourcing assicura radicamento, lealtà e continuità, ma richiede investimenti e tempi più lunghi, mentre la Gig Economy è rapida ed economica, ma può portare a frammentazione, perdita di know-how e dipendenza da professionisti esterni. Per questo motivo, un utilizzo poco strategico e assiduo della Gig Economy rischia di diventare un boomerang per le aziende, compromettendo la qualità e la sostenibilità del lavoro.
La diffusione di una tale strategia aziendale rende sempre più evidente quanto sia importante il ruolo delle Risorse Umane nella gestione dei talenti. Se un tempo le HR si occupavano principalmente di selezionare personale da inserire stabilmente in azienda, oggi devono anche saper individuare e attrarre i migliori professionisti esterni a cui affidare incarichi temporanei o progetti specifici. Questo significa padroneggiare nuove competenze di Talent Acquisition, capaci di valutare non solo il curriculum, ma anche la flessibilità, la capacità di adattamento e il valore aggiunto che un freelance o un collaboratore a progetto può portare ad un’organizzazione.
In questo contesto, la preparazione del reparto HR diventa un fattore decisivo, in quanto scegliere i professionisti giusti permette di trarre il massimo beneficio dalla Gig Economy, evitando dispersioni di tempo e risorse. Al contrario, una selezione superficiale rischia di compromettere la qualità dei progetti e l’immagine aziendale. Per supportare le imprese in questo delicato compito, Howay offre una consulenza HR personalizzata, con percorsi formativi studiati su misura che aiutano a rafforzare le competenze interne e a gestire al meglio l’inserimento di talenti esterni.
Uno strumento particolarmente utile è il Maturity Index, un test che consente di misurare il livello di maturità dell’azienda rispetto alla concorrenza in ambito HR, fornendo così una base concreta da cui partire per pianificare interventi mirati. Grazie a questo approccio, le aziende possono affrontare la Gig Economy come un’opportunità strategica di crescita e innovazione.
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