L’Employer Branding è una strategia aziendale che ha l’obiettivo di comunicare in modo chiaro e coerente l’identità di un’organizzazione, mettendone in luce valori, caratteristiche distintive e obiettivi. Non si tratta semplicemente di risultare appetibili agli occhi dei clienti, ma anche (e soprattutto) di attrarre nuovi candidati, mostrando perché valga la pena far parte di quella realtà.
Proprio per queste ragioni le Risorse Umane giocano un ruolo fondamentale: sono loro a dover padroneggiare questa strategia e a tradurla in un linguaggio efficace, capace di trasmettere la cultura aziendale e presentare l’impresa come un luogo di lavoro stimolante e desiderabile.
In questo modo, il brand non si limita a “vendere” un prodotto o un servizio, ma diventa anche sinonimo di ambiente positivo e di crescita professionale.
Un esempio concreto arriva proprio da W Group, di cui Howay fa parte, occupandosi di formazione aziendale e consulenza HR. Il gruppo ha ottenuto per il terzo anno consecutivo il riconoscimento Best Place to Work, un risultato che testimonia l’efficacia di un Employer Branding ben costruito. Difatti, sono gli stessi dipendenti a descrivere l’ambiente di lavoro come inclusivo, attento ai bisogni delle persone e orientato a valorizzare i talenti attraverso reali possibilità di carriera.
L’Employer Branding può essere definito come la “versione interna” della Brand Identity; se quest’ultima riguarda il modo in cui un’azienda comunica al mercato e ai clienti la propria immagine, l’Employer Branding si concentra sul come la stessa azienda viene percepita come datore di lavoro. In altre parole, non si tratta soltanto di promuovere prodotti o servizi, ma di raccontare il perché un candidato dovrebbe desiderare di entrare a far parte di quell’organizzazione e perché un dipendente dovrebbe sceglierla ogni giorno.
Il pubblico a cui si rivolge si può dividere in due grandi categorie: da una parte ci sono i candidati esterni, che devono percepire l’azienda come un luogo in cui crescere professionalmente, mentre dall’altra ci sono i dipendenti già in organico, che attraverso la cultura aziendale e le politiche interne rafforzano il senso di appartenenza.
È un equilibrio delicato, in quanto ciò che viene comunicato all’esterno deve corrispondere a ciò che le persone vivono davvero all’interno, altrimenti il rischio di dissonanza, e quindi di perdita di credibilità, è altissimo.
Un esempio di Employer Branding ben riuscito è quello di Google, che da anni investe nel mostrare i propri uffici creativi, i benefit dedicati ai dipendenti e le possibilità di innovazione continua. Non si limita ad affermare “siamo un’azienda tecnologica di successo”, ma comunica anche “siamo un posto dove puoi sviluppare idee, sentirti valorizzato e avere un impatto reale”. Il risultato è un’identità lavorativa fortissima, che attrae talenti e fidelizza chi già fa parte del team.
Adottare una strategia efficace di Employer Branding porta benefici tangibili per le aziende. Secondo recenti statistiche, il primo vantaggio è quello di migliorare l’attrazione di nuovi talenti; difatti, circa l’88% dei candidati prende in considerazione la reputazione dell’azienda prima di presentare la candidatura, e un Employer Brand positivo permette di ricevere un numero molto maggiore di candidature qualificate.
Inoltre, bisogna considerare la questione retention, in quanto trattenere i dipendenti esistenti costa meno che sostituirli. In Italia, ad esempio, il 40% dei lavoratori dichiara che cambierebbe impiego entro l’anno, segno che molte aziende non sono percepite come ambienti che valorizzano la permanenza. Un Employer Branding forte aiuta a ridurre il turnover, poiché se le persone condividono i valori aziendali, si sentono coinvolte e motivate a restare.
Riassumendo, i vantaggi derivanti da una strategia ben applicata sono:
In sostanza, investire nell’Employer Branding significa rendere il lavoro migliore per chi è già dentro e più attraente per chi sta fuori.
Se l’applicazione di un’ottima strategia comunicativa può rafforzare enormemente l’immagine aziendale, il rovescio della medaglia è che una campagna gestita male può produrre l’effetto opposto.
Il primo errore da evitare, per esempio, è raccontare un’immagine irrealistica del brand. Più nel dettaglio, se ciò che viene comunicato all’esterno non corrisponde alla realtà vissuta dai dipendenti, il disallineamento diventa presto evidente.
È capitato che grandi aziende lanciassero campagne di Employer Branding incentrate su inclusione e benessere, salvo poi trovarsi travolte da recensioni negative online che descrivevano ambienti di lavoro stressanti e poco attenti alla persona. Il risultato è che, invece di attrarre talenti, hanno compromesso la propria reputazione.
Un altro errore frequente è limitarsi a benefit superficiali, come la palestra aziendale o il tavolo da ping-pong, senza affrontare aspetti fondamentali come percorsi di crescita, politiche retributive trasparenti e una leadership realmente attenta. Difatti, aziende che si sono concentrate solo su iniziative di “svago” hanno scoperto che i dipendenti continuavano a lasciare il posto, segno che ciò che conta davvero è sentirsi valorizzati nel lavoro quotidiano.
Inoltre, bisogna evitare di non coinvolgere i dipendenti nella strategia di Employer Branding, lasciando che la comunicazione resti una prerogativa del reparto HR o marketing, con effetto finale artificioso e senza riscontri reali.
Mancare di coerenza con la Brand Identity è un altro errore da non commettere. Un’attività che si presenta all’esterno come innovativa ma che internamente mantiene processi lenti e burocratici, manda un messaggio contraddittorio. Un ulteriore passo falso è promettere benefit o possibilità di carriera che poi non trovano riscontro nella realtà, in quanto le promesse disattese minano la fiducia e generano malcontento, che poi viene esternato su piattaforme digitali, come LinkedIn, andando a minare la reputazione dell’azienda.
Infine, non misurare i risultati con KPI chiari impedisce di comprendere se gli sforzi messi in campo portano davvero benefici, trasformando la strategia in un insieme di azioni prive di direzione.
Qui entra in gioco la capacità delle Risorse Umane di saper applicare correttamente l’Employer Branding. A supporto di questo compito, Howay mette a disposizione il Maturity Index, un questionario che offre una fotografia realistica del livello di maturità dell’HR in azienda, anche in relazione alla concorrenza. Da questo punto di partenza, viene poi sviluppata una consulenza personalizzata con corsi mirati per colmare le lacune e rendere la strategia di Employer Branding realmente efficace e credibile.
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